Quella non piu' gelida manonadal direttore Ferruccio Gard

“Che gelida manina, se la lasci riscaldar”: come tutti sanno è l’aria più bella e famosa della celebre opera "La Bohème" di Giacomo Puccini. La canta il poeta Rodolfo mentre stringe delicatamente e amorevolmente una mano dell’infreddolita Mimì. Siamo a Parigi nel 1830. Molti secoli prima c’era chi, per scaldare non una mano altrui ma la propria, si comportava in modo meno romantico, direi più spiccio. E’ il caso di Marte, il dio della guerra, che rifila una pacca sul sedere nudo di Venere, la dea dell’amore. Entrambi sono nudi, quindi ben predisposti all’urgente necessità di...scaldarsi. L’ho visto nel mio recente viaggio a Madrid, esposto a Palazzo Liria dalla Fundación Casa de Alba. È forse (1595) l’unico quadro del genere nella storia dell’arte. È attribuito a una pittrice italiana, Lavinia Fontana (Bologna, 1552-Roma, 1614). Prima non si era mai visto niente di simile, è un unicum in assoluto, da quel che risulta. Però...quella parte del corpo che una volta definivamo pudicamente “là dove non batte mai il sole” ha attratto molti artisti, dal sommo Tiziano a Raffaello. Ma forse Lavinia Fontana si ispirò alla celebre Venere Callipigia (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), così chiamata dal greco callipigia, che vuole dire “belle natiche”. Raffigurare il sedere nelle sculture greche e romane era normale, ma nel Rinascimento fu una...conquista, la libertà di raffigurare (quasi) ogni parte del corpo femminile (e maschile). Per realismo anatomico? Per (più probabile) erotismo? O tutti e due? Senza il due non c’è il tre, dice un proverbio. E allora aggiungiamoci anche, sissignori, per motivi...estetici. In molti casi proprio non guasta.